THRUPPI Giovanni Truppi e Thru Collected
(900 parole)
Il 13 giugno 2025 segna l’uscita di “THRUPPI”, un progetto musicale ibrido, potente e stratificato, che unisce la visione cantautorale di Giovanni Truppi con l’energia e la sperimentazione del collettivo napoletano “Thru Collected”. Pubblicato da Island Records, l’album si presenta fin dal titolo come un incontro identitario: una fusione di due nomi, due mondi, due generazioni che trovano in Napoli il loro punto di partenza e di frizione, di ispirazione e conflitto.Truppi, noto per la sua scrittura ruvida e poetica, sceglie qui di non essere protagonista assoluto ma di condividere la scena in un dialogo artistico profondo con i membri del collettivo. Il risultato è un disco-laboratorio che suona come un racconto generazionale, un ritratto sincero di emozioni, paure e trasformazioni. Sette brani, ognuno frutto di una scrittura a più mani, che uniscono italiano e napoletano, cantautorato, rap, indie rock ed elettronica in un mosaico sonoro moderno e libero.
Il primo brano, “Buianotte”, anticipato da un video animato, apre il disco con un’intimità disarmante. Il pezzo, che alterna dolcezza e inquietudine, esplora il sentimento amoroso come un gesto di vicinanza estrema ma precaria, una lotta contro l’oscurità. La voce di Truppi si fonde con quella di “specchiopaura”, mentre i synth disegnano un paesaggio notturno, rarefatto e pieno di tensione emotiva. Il suono è caldo ma instabile, come una coperta troppo corta: c’è qualcosa che manca sempre, ma che non smetti di cercare.
“Nero”, secondo brano, intensifica il senso di smarrimento. Qui le voci si moltiplicano – Truppi, Alice, SANO – e diventano cori interiori che si sovrappongono, si contrastano, si interrogano. “Stammi vicino perché vedo nero nero nero” è il verso che più resta impresso, una richiesta che è anche un grido. La produzione alterna beat spezzati e distorsioni minime, accentuando la sensazione di crisi identitaria e di affanno esistenziale.Con “Denti Perfetti”, il disco cambia registro ma non abbandona l’analisi critica. Il brano è un’accusa sottile e ironica alla borghesia e alle sue contraddizioni. Truppi e SANO danno voce a una generazione cresciuta tra buoni consigli e grandi bugie, tra l’illusione del benessere e la frustrazione della realtà. Musicalmente è uno dei pezzi più compatti dell’album, con una struttura quasi pop ma con un’anima sporca, contaminata.
“Tornare indietro” è l’unico brano strumentale solista di Truppi e si distingue per la sua scrittura malinconica e riflessiva. È un momento di respiro, di sospensione, in cui si avverte la nostalgia non solo di un passato personale ma di un tempo collettivo che pare irrecuperabile. Qui il pianoforte e i synth si prendono il tempo per dilatarsi, suggerendo un senso di resa e contemplazione.Ma è con “Napoli Città di Morte” che l’album raggiunge uno dei suoi apici emotivi e tematici. Il brano è una dichiarazione d’amore e odio alla città che ha dato origine a tutto il progetto. Napoli è raccontata come corpo vivo e malato, madre e carnefice, luogo di bellezza e morte. La scrittura è tagliente, senza pietà, e si fa manifesto di un disagio che è generazionale e geografico. Le chitarre abrasive e il ritmo incalzante costruiscono un sound potente, viscerale, che evoca tanto il punk quanto il noise rock.
“Vecchie Fiamme”, firmata da Truppi e Alice, è forse il brano più narrativo dell’album. Qui l’autobiografia si fa romanzo: la figura del padre diventa il simbolo di un’eredità pesante, di un confronto mai risolto, che continua anche dopo la morte. “Pensavi di aver vinto facendo quello che lui non ha mai fatto, e solo più tardi capisci che anche così lui continua a comandarti.” Una frase che colpisce come un pugno allo stomaco. Il suono è minimale, quasi spoglio, e lascia spazio al testo, che emerge con forza e lucidità.L’album si chiude con “Sir Pente”, uno dei pezzi più cupi e alienati. Alice e Lucky Iapolo, insieme a Truppi, costruiscono un racconto doloroso sulla fine di una relazione, sull’impossibilità di elaborare il lutto sentimentale. I synth si fanno opprimenti, la melodia si disgrega, la voce diventa quasi un sussurro stanco. È un finale che non offre soluzioni, ma solo una consapevolezza nuova: quella di essere ancora vivi, anche se a pezzi.
Dal punto di vista sonoro, “THRUPPI” è un’opera che rifugge ogni categorizzazione. La produzione – curata da Truppi, Benedetto Romano, Valerio Fatalò e Rainer Monaco – è compatta ma mai rigida, e lascia spazio all’improvvisazione e alla contaminazione. Ogni brano è un piccolo universo a sé, ma mantiene una coerenza di fondo: quella di una ricerca radicale dell’autenticità. Niente è levigato o studiato per piacere. Qui ogni suono, ogni verso, nasce da un’urgenza reale, da una volontà di comunicare il presente nella sua complessità.Anche la scelta della copertina – con tutti i membri fotografati di schiena – suggerisce una poetica precisa: quella di mettere da parte i volti, i protagonismi, per concentrarsi sull’ascolto, sulla collettività, sull’essenziale. Non è un disco da guardare, “THRUPPI”, è un disco da attraversare.
In conclusione, “THRUPPI” è molto più di una semplice collaborazione. È un’opera collettiva che ha la forza del manifesto, la delicatezza del diario, la complessità del romanzo corale. Parla a chi ha vissuto il passaggio tra due mondi – l’infanzia e l’età adulta, il sogno e il disincanto – e lo fa con una lucidità commovente, senza mai cercare scorciatoie retoriche. È un disco che fa male e fa bene, come tutte le cose vere. E nel suo essere così profondamente radicato in un luogo e in un tempo specifici, riesce a toccare corde universali.
Anna Cimenti