Messa

TheSpin

Esce il quarto album di questa atmosferica band italica che si era riservata un particolare taglio sonoro tra il dark e il doom, con evanescenti afflati rock in grado di creare paesaggi onirici e arie suadenti in grado di avvolgere in maniera totalizzante. Questo album è diverso, mantiene molti riverberi di quei dischi, ma stavolta utilizzando molte escrescenze della New Wave anni ottanta. Solo che tali song hanno suoni non artefatti e artificiali a differenza di quanto succedeva in quel decennio, conservando uno spirito piuttosto settantiano per quanto sempre di stampo attualizzato. Dal 2018 ad oggi ci sono state nel loro stile differenze espressive notevolmente interessanti, denotando uno spessore ispirato artisticamente davvero notevole. Lunghe o brevi che siano, le composizioni di questo combo non sono mai superficiali e invece risultano preziose per chi ama la “vera” musica.

‘VOID MERIDIAN’ usa solo in parte la vocazione New Wave, apparendo come un episodio superbamente ancorato alle elucubrazioni degli anni settanta. Bella la tonicità rotonda del riff hard di ‘FIRE OF THE ROOF’ dove l’ampiezza vocale apre a luci evocative fascinosamente ficcanti; anche l’assolo si espande dentro una fiamma di puro hard-rock. Si respira alta magia nell’elegantissima ‘IMMOLATION’, soffice ballata che vola soave sull’ascoltatore, ammaliandolo; gustosa anche la parte solista quando il brano decide di allontanarsi dall’essenza soft, e pur essendo essa piacevolmente e classicamente rock, un po’ rovina l’anima della canzone che nella sua tenerezza sonora possiede già di per sé un forte feeling; anzi l’assolo ne banalizza l’essenza portandola in un alveo più scontato, magari una parte acustica sarebbe stata più in linea col resto.

Altro exploit magico si ottiene con ‘THE DRESS’ che in oltre otto minuti vibra toccando con vocalità dolce ed ipnotica l’ascoltatore che ne viene blandito con malinconica tensione, con accenti discorsivi corposi e alzate tonali che increspano suggestioni accattivanti, permettendo poi ad un sax sensuale di insinuarsi nella scrittura, duettando con una chitarra in senso jazz, e qui la parte solista è davvero pregevole, a differenza di quella del precedente brano, fino ad una cavalcata elettrica arrembante. ‘At Races’ vive parecchio della ritmicità della New Wave di cui sopra, anche nella voce e in tanti passaggi chitarristici, sebbene al centro la parte soft tenda ad allontanarsene per pochi momenti; è una bella canzone ma non è tra le migliori, segno che non è situato in quel genere il loro maggior appeal.

Possiamo trovare un po’ di Led Zeppelin nella ruvida ‘Reveal’, la più dura del lotto, brano in grado di tuffarsi nei profondi primi settanta, ma con una veste così originale da farsi moderna. Insomma non troverete filler, né tanta differenza di valore tra i pezzi migliori e gli altri.Le caratteristiche stilistiche della New Wave sono davvero poche, presenti solo in tre song, e non in maniera continuativa, ma quelle che ci sono appaiono davvero intelligenti, elaborate con particolare acume descrittivo, e nella costruzione non vi viene immessa l’elettronica che tende solitamente a snaturare l’energia rock. E’ un modo particolare di rifarsi a quella estetica. Il gruppo si conferma piuttosto unico nel suo genere, anche se può essere accostato ad altre realtà contemporanee, però qualcosa di molto più personale e molto più peculiare attraversa la loro natura, non dando mai l’idea di perdersi, né si percepiscono totalmente quali siano le ispirazioni a cui si rifanno, cioè qualunque sia la derivazione, non ne viene ricalcata in toto l’essenza.

E’evidente che ci sia anche una attitudine prog, la quale in alcuni momenti spinge leggermente verso variazioni sul tema, altre volte interponendosi tra le frasi come se uscisse tra le righe, urgenza prog impossibile da relegare del tutto nella scrittura così perfettamente costruita. La loro strada dall’esordio ha già visto circa nove anni di vita, ed in questa loro nuova uscita si concretizza una carriera che li pone alti nel panorama del rock duro, con una maturità da ogni lato inattaccabile. Lasciati un po’ da parte i Black Sabbath di certe loro volute passate, adesso il percorso segue altre immagini; lo spirito doom viene interpretato in maniera differente, e c’è in ogni caso sempre e ancora sostanza nella loro musica, è stata ed è ancora di tale pregnanza che non vi possono essere più dubbi. Anche il blues è un po’ nascosto, pur individuabile, ed è la bravura di mantenerlo come una sensazione e non come rilevanza esplicita. Forse dall’album ‘Close’ il loro percorso si potrebbe intendere come una evoluzione verso una maggiore e più stringente personalizzazione del loro stile; adesso persino le linee morbide del cantato acquistano un diversa luce, in un certo senso mutando verso una sintesi meno tradizionale. Ma è lampante quanto oggi come ieri i Messa producano un lavoro che non è fatto per la leggerezza anche quando i suoni sono apparentemente leggiadri, e quindi non è per fruitori che si accontentano di canzoncine, qui si trovano solo tracce di spessore lontane da ciò che è commerciale. I Messa non sono in vendita, o meglio, sono vendibili solo agli appassionati e calorosi sniffatori di Arte.

Roberto Sky Latini

Void Meridian
At Races
Fire of the Roof
Immolation
The Dress
Reveal
Thicker Blood

Sara – vocals
Alberto – guitar / piano / synth
Marco – bass / synth
Rocco – drums