Avalanche Party
Der Traum uber alles
Terzo album per una band britannica molto interessante, che nella sua stilistica inserisce una forbita tradizione passatista rigenerandola a tonica esistenza. Punk? Garage Rock? Sì, ma incastonate in una onda New Wave anni ottanta, cavalcata con fiera durezza. Come nel punk e nella New Wave il basso ha la sua centralità, e spinge tutta la struttura a seguirlo energicamente. Nessuna canzone sorge banale e nessun momento perde tensione; si tratta di una dinamica espressa in modo risoluto che genera una gustosissima fruizione in grado di colpire in modo sia raffinato che diretto. E’ contenuta l’anima calda e irruente del punk, con la sinuosità e la freddezza della New Wave; e ne nascono brani mai troppo lineari.‘JOHN COLTRANE’S MOSCOW’ è il pezzo d’apertura, sembra voler fare il dark crooner, e poi invece scatena un rumore punk ossessivo che si getta nel Noise Rock. Dopo questo colpo ad effetto si accelera l’andamento con il mezzo ska eclettico di ‘NUREJEV SAID IT BEST’ adatto a sublussare le articolazioni di chi volesse ballarlo e che tira ulteriormente la corda anche vocalmente. L’ugola dondola tra il tono freddo da presentatore di convegno a quello melodico per poi urlare ‘NO NEUTRAL’ che è il titolo della song; brano che dura meno di tre minuti ma che fa il suo effetto straniante.
La ritmica scattante di ‘SHAKE THE SLACK’ è molto accattivante e potremmo vedere qui sia i Clash che i Talking Heads; c’è un senso rockettaro d’irriducibile ribellione. Ancora a forte base rock troviamo ‘SERIOUS DANCE MUSIC’ che è tra gli episodi più divertenti, in grado di far sudare i fan sotto un ipotetico palco. La ballata ‘Ecstasy’ è densa; essa potrebbe da un lato diventare un brano alla Rolling Stones, dall’altro uno pezzo di stampo psichedelico, segno dell’ampiezza che possiede l’ispirazione di questa band. E quando si cerca una canzone orecchiabile da mandare in pasto agli ascoltatori il risultato appare credibile e funzionale, lo fa in modo quasi dolce ‘The Noise between Us’, con alcune movenze anni sessanta; per niente riempitivo. Parlare di New Wave o Punk è comunque troppo poco, ce lo dice chiaramente un pezzo come ‘Slinky’ che col suo sassofono grasso trasporta verso lidi del tutto diversi. O anche l’evanescenza di ‘Chainz’ che ricorda le placide ma elettroniche partiture di Brian Eno. L’unico momento molto canonico è rappresentato da ‘Target’ che non appare irresistibile nei suoi due minuti e quindi si fa mezzo di filler.
Questi musicisti sono come i Talking Heads, modernizzati, e talvolta cantano come Mick Jagger o Lou Reed, e strappano brandelli di suoni senza scomporsi più di tanto. Appaiono scatenati e al tempo stesso rigorosi; musicisti che sanno bene ciò che fanno e lo fanno bene. Le canzoni hanno quel lontano piglio punk classico, ma poi le strutture compositive si allargano ad inserire ponti o variazioni sul tema, in un modo neanche tanto lesinato. Questa poliedricità è ciò che li fa andare oltre la normale attitudine punkeggiante o garage. Il groove che emerge è sempre ficcante, e non ha bisogno di chitarre distorte per risultare irruento. Il tasso Indie-rock è quasi scomparso rispetto al passato e abbiamo una realtà che preferisce ora ardere di post-punk, facendolo in un modo piuttosto misurato ma ad effetto, lasciando cioè che straripino le adrenaliniche eccedenze liberatorie da alcune fessure lasciate apposta in vari brani perché accada. Le cadenze ritmiche della sezione basso/batteria in alcuni tratti sono pesanti e ossessive, e in generale essi sono strumenti che vengono in primo piano. Lavoro ben definito, ben scritto, ben arrangiato e pieno di accentazioni, ottenendo un prodotto che risalta per qualità e che possiede la capacità di afferrare colui che lo ascolta.
Roberto Sky Latini