Cammie Beverly

House of Grief

La statunitense Cammie, accompagnata strumentalmente dal marito, si infila in un progetto solista con solo sette canzoni, come un piccolo esperimento esplorativo della propria ispirazione artistica. Rispetto alla band d’origine, cioè i gothic-metal Oceans Of Slumber, la musica si colora di soul molto di più, ma gli arrangiamenti, più che la voce, si rifanno ad ambiti ambient ed elettronici, con campionamenti leggeri ed eleganti, con valenze post-rock, anche se non sempre. Assente del tutto il lato metal, ciò che permane è la voglia di non adeguarsi troppo alla musica commerciale, se non in maniera sfiorata. Il gesto artistico ha la sua pregnanza, ma è ambivalente, considerando alcuni brani non del tutto convincenti.Ottima l’apripista title-track ‘HOUSE OF GRIEF’ con la sua atmosfera soffice, che nell’aria rarefatta emette pathos e sinuosa evocatività; è soul nella stilistica di ‘Calling You’ cantata da Jevetta Steele (brano che era nel film ‘Bagdad Cafè’ del 1987), così come similarmente fa anche ‘Paraffin’ in modo leggermente meno efficace. Non si tratta di due canzoni sperimentali, ma funzionano benissimo nell’alveo classico della musica nera tipica del pop.  A seguire un diverso ambito tradizionale, stavolta non pop ma quasi sinfonico-classico sebbene in modalità minimalista; si tratta della suadente e morbida ‘RUNNING’, anch’essa perfetta e piena di emozionalità, che permane nell’essenza di vocalizzazione delicata e sussurrata. Questi, tre momenti che non inventano nulla ma appaiono quali canzoni profonde.

Al contrario, la pur presente bravura che tende a farsi straniante in ‘For the Sake of Being’ non riesce a far decollare il suo appeal, in quanto non evolve ma rimane piattamente lineare nonostante il carattere scuro dei suoni sotto una linea vocale sofferente ma irrisolta stilisticamente; una specie di brano d’attesa che poi non sfocia in nessuna risoluzione. La musicalità d’avangarde l’abbiamo con eccelsa ispirazione invece in ‘ANOTHER ROOM’ dove l’ugola si staglia con tecnica sopraffina in meandri ariosi che aleggiano con improvvise alzate accentate e planate avvolgenti. Grande soavità con la enfatica ‘KISS OF THE MOON’ a cui ci si può abbandonare mollemente e che soffia meno ombrosa rispetto al resto del full-lenght.Come negli Oceans Of Slumber, la cantante dimostra la propria classe raffinata in grado di spingere verso abili modulazioni canore e a farsi sempre forte negli echi emotivi. C’è un senso noir e una tristezza di base con piccoli attimi dolci meno chiusi, ma nell’insieme si vive una verve interiore dal feeling introspettivo.

La musica vissuta in questo lavoro ricorda molto le vocalità soffuse che vengono coperte in modi e generi diversi da molte cantanti donne dalla più commerciale Dido agli anfratti più nascosti di Agnes Obel, ma poi Lana Del Rey, Suzanne Vega; Tori Amos; Aurora; ognuna di loro in una nicchia specifica, ma che, tenendole presente tutte assieme, vanno a spaziare in una vasta gamma di generi, e qui Cammie si va ad aggiungere a tale tipo di espressività mormorata o cantata quasi sottovoce, quando più quando meno, stavolta mescolando Soul e Goticismo. Ciò avviene nell’album ma non nei singoli pezzi, i quali si contrappongono nettamente fra loro come genere. Eppure non si oscura l’enorme capacità espressiva di una cantante che peraltro già col suo gruppo era emersa prepotentemente. Quindi tale artista non ci doveva dimostrare nulla, semplicemente abbiamo della musica di qualità in più.

Roberto Sky Latini

House of Grief
For the Sake of Being
Running
Paraffin
Another Room
Rivers
Kiss of the Moon

Cammie Beverly – vocals
Dobber Beverly – guitar /drums / Electric Piano