Jinger
Duél
Discograficamente attivi dal 2014, gli ucraini sono arrivati al quinto full-lenght, e la carriera ha permesso loro di raggiungere una certa fama, non perché la produzione sia sempre eccelsa (e lo è), ma per una buona personalità nell’ideare e produrre un Death Melodic Metal che non manca di varianti interessanti. Tanti input prog, un misto di Metalcore e Djent, e passaggi raffinati come anche impatti feroci.L’apripista ‘Tantrum’ non è male ma vive in una media espressiva che non sorprende; una violenza lineare inframezzata da un cantato pulito piuttosto canonico, quindi un ponte morbido guidato dal basso, esteticamente più valoriale della sezione iniziale che termina il pezzo ma che si comporta come se non fosse la stessa canzone, in maniera da spiazzare per il nonsense realizzato. Ecco questa è l’impostazione generale che si riproporrà più volte all’interno di questo lavoro, e che determina una sottrazione dell’efficacia generale. Pezzi troppo brevi e quasi tutti come embrioni non sviluppati, anche scollegati. Tra gli episodi migliori troviamo il middle-time di ‘HEDONIST’, song ben più compiuta in perfetto equilibrio tra sezione melodica e cantato in growl, senza fratturarsi e con una atmosfera malinconica di fondo che appartiene a tutte le parti.
Organicamente completa anche la bella ‘SOMEONE’S DAUGHTER’, che dà sostanza sia alla parte melodica che a quella dura, e non sembra aver bisogno di aggiunte. Similare in senso stilistico, ma anche qualitativo, è ‘TUMBLEWEED’, il suo voto sarebbe stato più alto se non ci si fosse accontentati di rimanere nello schema base, sembra infatti un incompiuto. Succede di nuovo in ‘KAFKA’, le cui ottime sezioni morbida e dura posseggono emotività, ma che si separano come due varianti non integrate, e che vorresti avessero dentro qualcosa di più. La presenza di veri e propri filler come ‘Rogue’ crea noia, eppure anche tale brano meno significativo viene suonato con maestria, ma la velleità di una esecuzione virtuosa non è sempre pregnante, si perde feeling in un songwriting anonimo. Particolarmente ficcante il rifframa di ‘A TONGUE SO SLY’ dove anche il cantato growl-scream addensa oscurità e il cantato pulito solare-malinconico apre finestre luminose. Il songwriting migliore pare appartenere alla title-track ‘DUEL’ in cui vive di fondo un senso di tristezza, quello che la guerra evoca con terribile pesantezza.
Lo stile dei Jinger raramente prevede assoli, ma questo non significa che non se ne senta la mancanza, solitamente la parte tecnica è così di alto livello che ne compensa l’assenza, però in diversi casi non è sufficiente a colmare il senso di mancanza, servirebbero variazioni sul tema maggiormente peculiari. Grande tecnica quindi, che ben si confà alle strutture spezzate che si dinamizzano con battute dispari e schegge eclettiche, sempre interessanti e divertenti. Però diverse volte il growling non segue la stessa caratteristica come se cercasse di appiattire il bel costrutto; un cantare meno scontato dell’ugola catramosa avrebbe reso la voce più cattiva e accentata. Nemmeno la vocalità pulita riesce ad essere efficace in modo continuativo; ma soprattutto sono sprecati i buoni spunti come se non si sapesse in che modalità elaborarli, e questa cosa negativa è ben più esplicita che in passato. In effetti la netta separazione di luci e ombre è qualcosa che è sempre stata riscontrabile nei Jinger, un album del tutto funzionante non si trova in nessuno dei cinque dischi prodotti.
Il semi-goticismo di certe canzoni, virate in modalità Metalcore, sembrano i Lacuna Coil meno ispirati, mancanti di quella scintilla che gli italiani ancora posseggono. Alla fine si tratta di un album che andrebbe risuonato e ripensato, perché non sono assenti momenti ganzi, ma è come se ogni volta si decapitasse la testa sonora. Questa eccessiva lesione in sezioni fa diminuire le singole caratterizzazioni dei brani, si potrebbe spostare le parti e collegarle diversamente senza tante difficoltà e ciò non è che una prova dell’uniformità latente di tale disco. I testi parlano della necessità di resistere e di cercare di mantenere la forza di opporsi alle negatività dell’esistenza. E’ doloroso pensare che questi musicisti stiano vivendo il dramma della loro nazione ferita, ma forse il concentrarsi sui testi li ha fatti deviare un po’ troppo dall’attenzione alle partiture musicali. Un lavoro che risulta godibile, ma sinceramente i Jinger hanno scritto dischi migliori.
Roberto Sky Latini