The 7th Guild
Triumviro
L’album brilla di luci sfolgoranti grazie al suo power-sinfonico molto arioso. Si sentono aliti alla Rhapsody e alla TrickOrTreat, ma se vogliamo proprio trovare qualcosa di simile in giorni più vicini, viene subito in mente il progetto solista del batterista Michele Olmi, il cui moniker è Embrace Of Souls. L’idea di spingere il tasso power verso un’epica iperpompata, associa stilisticamente questo progetto a quello. Fooler, il cantante del combo italiano Skeletoon, ha messo in piedi questo progetto riuscendo come Olmi in una impresa superlativa, e il risultato che abbiamo nelle orecchie ci racconta della qualità in possesso di questi combattenti del metal. E’ un lavoro fatto da chi ci capisce a livello concettuale e insieme tecnico, e sa anche capire in maniera ispirata ciò che vale. Al di là della stilistica, questo è un album dove il songwriting funziona e diventa materiale di valore, dove poi gli arrangiamenti possono accentare e sottolineare al meglio, come magma infuocato, ciò che è già ottimo.
La magnificenza enfatica è il carattere principale di questo lavoro ed essa viene subito scatenata dalla prima traccia ‘HOLY LAND’ che investe l’ascoltatore come un vento potente a tutta velocità; le note d’apertura sono sicuramente scontate e rendono chiaro in quale nicchia metallara l’album si porrà, ma il dipanarsi della canzone è pura energia ed il suo finale pura con anche cori aperti che salgono a toni assurdi in acuto. Più leggermente introspettiva, ma sempre catapultata verso lidi super-cavalcanti, sta in ‘THE 7th GUILD’ che in campo vocale osa ancora di più, e incalza con un grande gusto emozionale, trasportando l’ascoltatore ad altezze siderali. Pathos energico per la title-track ‘GLORIOUS’ dove in qualche modo si percepisce nel ritornello e nell’assolo una vicinanza ad ‘Innuendo’ dei Queen, sebbene la parte non sia perfettamente sovrapponibile, ma il pezzo, stavolta dentro un ritmo più rallentato, trascina e vibra emotivamente. Il cantato in italiano appare più volte ed esso funziona senza nessuna incongruenza, gestito con naturale espressività, e dove sta rende merito al songwriting con forte caratterialità, rendendolo degno di esistere all’interno di una musica piena di feeling.
Addirittura le liriche sono del tutto in italiano nel brano ‘LA PROMESSA CREMISI’; e qui l’ascolto muta pelle, abbassando il tasso power ed incrementando quello folk-sinfonico, per una cavalcata ritmicamente sempre efficace ma che varia di velocità permettendo ai cambi melodici di ottenere maggior spessore, sottolineandone i passaggi. Una song questa che effonde un senso di densità sentimentale, e i cui cori ardenti ne inspessiscono con l’essenza; davvero una canzone che passando da una certa calma e crescendo verso una tensione più poderosa, regala commossa trepidazione. Con la forsennata ‘IN NOMINE PATRIS’ si vive una scossa a questo punto del tutto Rhapsodiana, ma con una energia e una luce che gli ultimi Rhapsody Of Fire di Staropoli, pur ottimi, non hanno dimostrato; e la classica verve epica del power di questo stampo, pur emergendo tradizionale, non si perde in ridondanze banali e colpisce affondando completamente la lama musicale senza tema di sconfitta. L’unico episodio non entusiasmante è la ballata ‘Time’ che fa storcere un po’ il naso per la melodia semi-soulpop o se vogliamo leggermente da musical stantìo; carina ma sorvolabile; inutile averla condita con la bellezza della chitarra e della voce, la scrittura non ha peso. Che ci sia molta orecchiabilità lo testimonia anche ‘Guardians Of Eternity’ che parte con una linea cantata molto Bonjoviana, il lato migliore di Bon Jovi, anche se poi il finale diventa più infuocato, ma il tutto viene realizzato con un attento spirito compositivo tale da rendere anche questa song pregnante ed incisiva.
Ettolitri di melodia, ma quella melodia mai appiccicaticcia, in grado invece di sposarsi perfettamente con lo spirito metallico del Power che, sì, è imparentato con quello scandinavo, in particolare con quello finnico degli Stratovarius, ma che in realtà è più vicino alla via italica del Power come quello di Labyrinth e Secret Sphere, anche se qui è più tirato e vigoroso. In effetti l’impronta ricorda sfacciatamente gli anni novanta, evitando però di apparire nostalgici, e chiarendo che oggi non si può scrivere un disco Power sottotono per essere considerati all’altezza della situazione. E’ musica inserita senza problemi nella tradizione più ortodossa, eppure riesce a farsi efficace e a colpire con freschezza meritando elogi. E’ un disco euforico, portando a conseguenze estreme il virtuosismo canoro col triumvirato delle tre superbe ugole che cantano insieme nelle stesse singole canzoni. Va detto che in questo genere metal il canto spesso non usa la cattiveria rock del Power di Judas o Primal Fear, i quali si esprimono con una tipologia più secca e spezzata di vocalizzo; qui la scelta va sempre verso un’accezione più lirico-sinfonica delle frasi melodiche, ma l’essenza metal sta anche nell’estremismo canoro utilizzato, pur derivato dal tipo più antico di musica classica. A livello di virtuosismo viene inoltre dato spazio sia allo shredding chitarristico che alle soluzioni magniloquenti di certo sinfonismo, per quanto quest’ultime siano sempre dosate con attenta intelligenza, senza affogare l’insieme di tastiere ingombranti. Uno dei migliori album dell’anno in corso al momento e possiamo ancora una volta esprimere la soddisfazione di possedere in Italia artisti di tal fatta.
Roberto Sky Latini