Butt Splitters

Nibelvirch

La vecchia guardia del metal ternano si fa viva e dimostra di non voler vivere di nostalgia. Esordisce un nuovo gruppo e i nomi dei musicisti in questione, pur non famosi internazionalmente, sono presenti da anni sul territorio e con la loro verve da appassionati non cedono a facili soluzioni ma si esprimono con idee sempre interessanti.

Il singer Firmani e il chitarrista Radicchi avevano già fatto uscire un divertentissimo e pregnante lavoro nel 2019 (‘I.Ca.R-O’) a moniker Oxoduro, tra l’altro accompagnato da un un’opera a cartoni animati di ottimo gusto (ogni canzone un video), che però è rimasto un caso isolato, un impegno che non ha ricevuto l’attenzione che meritava. Anche l’altro chitarrista, Tabarrini (‘Jumping Shoes’; ‘Jerky Monkey’), è qui presente con la sua pluridecennale esperienza, contribuendo al progetto e così anche Martinelli con le sue passate esperienze.

E’ questo un album che racconta un alto input creativo, ricco di cuore e musicalmente variegato, ma variegato senza apparire schizofrenico, infatti il risultato è un viaggio sonoro concettualmente omogeneo. Il fatto che non si tratti di artisti giovani (eccetto il batterista), non ha danneggiato la capacità modernista di riuscire a farsi attuali e diretti. Nessun filler, nessuna caduta di feeling. Da un brano all’altro si respirano tanto cadenze incombenti quanto aperture ariose, dentro un alveo multicolore da dove però emergono ombre emotive piene di pathos.Tra le tracce più significative troviamo ‘FLOWERS OF THE WIND’ che presenta immediatamente l’eleganza emotiva di una introspezione tante volte presente nel disco.

Qui la vocalità si modula con una variegata ispirazione, tra sussurri, respiri e voce piena, colorando incisivamente la traccia di saliscendi sonori; lo stile melodico è quello di certo metal italiano alla vision Divine / Labyrinth, ormai terza via del genere a livello internazionale, tra quello scandinavo e quello anglo-americano. L’opera successivamente si eleva ad un più alto gradino con la maggiormente Heavy ‘INSOMNIA’ che però eccelle particolarmente nella zona più calma, nell’insieme rendendosi, quando epica, quando suadente, chiara nella capacità della band di pulsare in modo sfaccettato tra tensioni di vario genere, in un brano che appare tanto classico quanto personale.

Si permane su lidi di valore con ‘THE DEATH BELLS RANG FAR AWAY’ che spinge su una ritmica scura addensando drumming e riff ossessivi; su di essa si staglia una linea vocale intransigente e una punta di eclettismo nel “lah,lah lah”che fa il verso al ritmo. ‘HOMELAND’ è uno dei brani più modern metal, dal calore avvolgente, con forte espressività di sentito pathos. E poi si nota una splendida traccia finale, ‘MAGNET OF MY DESTINY’, che disegna un intenso afflato di acme emozionale, con pennellate sonore molto aperte e singulti vocali che il cantato sa coniare in una linea vocale semplice ma pregnante.Brani sempre significativamente valoriali sono anche ‘We are alive”, con effetti Nu Metal, in una cadenza atta a buttarsi in un tonico headbanging, mescolandovi anche un rallentamento doom dalle spire avvolgenti, seppure come stacco breve; ‘Beauty to the World” dal bel rifframa stoppato, e il sinuoso incedere di ‘Dear Diary’. Tre belle canzoni che sono solo i gusti a decidere se il livello sia quello dei pezzi citati precedentemente.

Le applicazioni Iron maideniane si trovano in ‘Mistery Of Time’, intensificate dai giochi di basso che accompagnano la parte soft di inizio strofe, anche se poi la parte finale in simil growl diventa una sorpresa di modernismo che non ci si aspetta. Spinta leggermente Nu Metal si ha anche in ‘Global War’, ed è questo, se proprio vogliamo trovarlo, l’episodio meno intrigante, pur non risultando un filler nel suo usare una quantità di anima contemporaneissima. La seguente ‘Never and Never again’ parte con accordi hard rock piuttosto corposi dalla pesantezza netta, con anche strofe compatte, per poi arrivare ad un ritornello quasi AoR e il passaggio tra le due anime appare fortemente naturale e fluido testimoniando una matura abilità scritturale; si tratta del pezzo più orecchiabile del lotto pur non avendo un senso commerciale negativo nel significato col quale un vero metallaro intende il termine; a me ha dato l’impressione di funzionare meglio dal vivo (li ho visti sul palco solo in una occasione), ma in realtà è un momento che va ascoltato più volte per gustarne il piacere non banale.

Lo spirito compositivo enuncia un certo tasso di malinconia aggiunta a punte di sfogo muscolare; la tensione emotiva si taglia col coltello, densa e vibrante. L’alternanza tra sezioni dure e sezioni morbide è integrata in modo perfetto e funziona; non è mai trattata con la banalità noiosa che spesso si ritrova nel metalcore, anzi qui il metalcore classico è assente, e le parti soft presenti appaiono più di stampo progressive. L’essenza di questo disco è seriosa musicalmente, approccio forse dovuto anche alla tematica trattata nel concept che parla di un tizio il quale si addormenta nel 1921 e resta in coma per 360 giorni, tempo in cui la sua coscienza trasla nel corpo di un uomo del 3905; musica e liriche così seriose da contraddire il senso divertente del moniker traducibile con “Spaccaculi”, certamente non in linea concettualmente con quanto espresso nella composizione.

Infatti le idee sonore sono mescolate in maniera da risultare lontane sia dalla comicità che dall’ironia, fondendo cose antiche degli anni ottanta ad una modernità esplicita che rende il tutto estremamente significativo ed attuale, e alla fine severo. Ci sono riff di vecchio stampo heavy accostati a rifframa invece contemporanei, egualmente tosti ed incisivi. C’è la raffinatezza di Queensryche o Kamelot e la durezza di band più alternative, con anche accenni Nu Metal spesso vicini ai Faith No More, che non stonano mai nell’insieme proprio perché appunto si tratta solo di accenni e dove però si respira efficacemente persino una piccola attitudine prog. Gli assoli non sono mai semplici sommatorie di scale o note banali, ma ricercati momenti ben integrati, perfettamente in linea con il songwriting ideato.

Appare quindi un lavoro studiato fin nei minimi particolari, eppure non si perde nulla in onestà. Le linee vocali non si limitano a gestire strofe e ritornello, ma aiutate da cori e doppie voci, si evolvono con la cura di chi non vuole cadere nella banalità, eppure l’orecchiabilità c’è, ma è trattata con la maturità di chi sa come essa deve esistere senza commerciali semplificazioni. Va sottolineato che il cantato possiede una forte dose di comunicativa, un espressionismo artistico di sicuro feeling. Un lavoro di tale spessore vive di sentimento e lo si percepisce chiaramente. Inoltre la tecnica non manca, sia strumentalmente che nell’attenzione data agli arrangiamenti. E’ sorprendente sapere quanta qualità artistica si perde nei rivoli di strade solitarie senza poter avere visibilità. Terni è considerata la città d’acciaio per via della sua siderurgia, e ciò si è riversato anche nella storia semi-sconosciuta del metallo musicale ternano; anche oggi abbiamo scovato in questa urbanità una perla degna del migliore metal dei nostri giorni, speriamo che circoli fra le orecchie di chi ama la musica.

Roberto Sky Latini

Autoproduzione
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Encephalitis Lethargica
Flowers of the Wind
Mistery of Time
Insomnia
The Death bells rang far away
We are alive
Global War
Never and Never again
Homeland
Beauty to the World
Dear Diary
Magnet of my Destiny

Stefano Firmani – vocals
Carlo Tabarrini – guitars
Marco Radicchi – guitars
Francesco Martinelli – bass
Matteo Scorsolini – drums

Emanuele Grigioni – keyboards (‘Flowers of the Wind’)
Luca Collazzoni – double bass (‘Encephalis Lethargica’)
Intro and outro voice – Uwe Steinborn