Altar of Oblivion
In the Cesspit of Divine Decay
Finalmente un concept album che non abbia una storia la solita storia fantasy che a volte risultano stucchevoli.Qui siamo di fronte ad un album quello degli Altar of oblivion band danese che con questo In the cesspit of divine decay, aggiunge il quarto capitolo alla loro discografia,
che racconta la storia delle grande guerra e di come sia stata sanguinosa visto attraverso gli occhi del bisnonno materno del chitarrista Martin Meyer Sparvath, Jesper Wilhem Meyer,che scrisse il diario.Una guerra vissuta tra le trincee dove i soldati delle due fazioni contrapposte combattevano per i loro ideali e morivano.Il racconto descritto nell’album è basato sul diario del bisnonno materno del chitarrista Martin Meyer Sparvath, che combatté controvoglia per l’Impero tedesco durante la Grande Guerra.Il tutto descritto musicalmente con un doom stile primi Black Sabbath. Gli Altar of Oblivion sono una grande band del resto la grande scuola scandinava ci ha consegnato band di ogni genere musicale dando lustro alla propria terra e gli Altar non sono da meno dimostrano di avere tecnica di scrittura e di esecuzione il tutto poi sostenuto da un ottima produzione che ha saputo valorizzare i toni oscuri che contornano tutto il disco dalla musica e anche dalla efficace copertina.
La gestazione di questo disco è stata piuttosto lunga essendo iniziata nel 2005 in primis con un idea iniziale ed ha attraverso il periodo pandemico con tutte le difficoltà che sappiamo, in cui la band ha potuto concentrarsi sulle registrazioni,e finalmente in questo anno il lavoro vede la luce in questo anno corrente.La prima traccia del disco inizia con un entrata epica delle chitarre trattasi di una canzone di circa sei minuti, e colpisce subito per la sua veemenza oscura e potente che nella fase centrale ci prende il collo come una mano che lo stringe per rimanere senza respiro , per poi esplodere con il bellassolo di Jeppe Campradt sicuramente un biglietto da visita notevole. Prima della terza c’è un intro fatta di strani rumori il cui titolo Ghost in the trenc, rende bene l’idea perché riesce a creare un atmosfera d’attesa per la battaglia, il riff di Mark of the dead si insinua per lasciare il passo ad un brano sabbattiano che mi ha riportato a Symptom of the Universe .
Arriviamo infine alla title track un brano dalla lunga durata che si attesta sugli otto minuti circa a tratti molto epico vicino a certi stilemi death metal.Ho avuto una sensazione nel senso che i due brani corti del disco siano collegati il primo Ghost in the trenc che paragoni i soldati come fantasmi che serve da intro della canzone Mark of the dead l’altro Wind Among Waves il cui titolo descrive appieno la situazione perché infatti si il vento che da un senso di desolazione quello della fine della battaglia come se nulla fosse rimasto in vita veramente molto ben riuscito
Una band certamente di buon livello che ci ha permesso di ascoltare un disco molto intrigante e mai noioso con un suono potente e coinvolgente dove in alcuni frangenti ci fa capire come potrebbero essere i loro concerti di cui molti sono già prenotati in questo anno molto importante per loro.
Stefano Bonelli