The Tangent
To Follow Polaris
L’origine seminale dei Tangent si può collocare tranquillamente durante il tour del 1999 dei Flower Kings, allorquando l’allora loro gruppo supporter Parallel or 90 Degrees ebbe l’occasione di confrontare ed allargare la propria conoscenza musicale così il leader dei Parallel, Andy Tillison, cominciò a scrivere qualcosa che era troppo prog per lo stile del suo gruppo di conseguenza lo mise da parte in attesa di nuovi eventi. Il cerchio si completò tre anni dopo, quando alcuni membri dei Flower tra cui il mitico chitarrista Roine Stolt, insieme a Andy Tillison e Sam Baine dei Parallel, si unirono fondando il primo nucleo The Tangent.Tutto ciò che ne conseguì resta nella storia come uno dei migliori dischi prog degli anni duemila, The Music That Died Alone, pubblicato nel 2003, conteneva parecchio di quel materiale scritto da Andy qualche anno prima. Tutto rielaborato a cura di Roine Stolt e con la partecipazione al sassofono di un mito vivente del mondo prog come David Jackson dei Van der Graaf Generator. Inutile aggiungere che il lavoro ebbe un eccellente riscontro risultando essere uno dei dischi prog più belli di quell’anno.
Nel corso degli anni la formazione ha subito grandi rimaneggiamenti e la qualità delle pubblicazioni che si sono succedute ne ha evidentemente risentito, diciamo che la linea musicale seguita dalla band è comunque stata più o meno coerente includendo quasi sempre elementi jazz ed un prog patinato e melodico orientato sul sound Canterbury in chiave molto modernizzata.A quanto pare in occasione del nuovo album, anche a causa di diverse defezioni nella lineup, Andy ha cominciato a lavorare e produrre in modo autonomo tutte le parti strumentali ma To Follow Polaris non sembra affatto un album one man band, suona benissimo e tutto funziona come se la band stesse suonando davvero insieme.
To Follow Polaris parte alla grande con gli undici minuti della bellissima The North Sky, delle voci perfettamente miscelate e melodiche in pieno stile Caravan, ritmi veloci e suadenti ma mai fuori dalle righe e le tastiere di Andy che tessono in continuazione melodie pazzesche.La successiva A Like In The Darkness è una canzone riflessiva, cupa ed elettronica e la voce di Andy in primo piano con tanti riferimenti Van der Graaf Generator. The Fine Line capovolge tutto, si tratta di un pezzo molto cool e jazzato che mi riporta a qualcosa degli Steely Dan.
Arriviamo così al pezzo forte di questo album, i ventuno minuti di The Anachronism sono folli e geniali, la traccia inizia con il parlato di registrazione della BBC che cit. “spiega perché il nostro mondo moderno e disfunzionale lascia la Gen Z in preda all’ansia”, in sottofondo una musica che genera ansia. Il testo, molto duro, è una condanna ai governi che permettono guerra, povertà e razzismo. Ci sono momenti che suonano come gli Yes, altri invece più affini al mondo Canterbury. Fortunatamente l’ultima traccia, The Single è un positivo prog-pop, che almeno musicalmente dissolve le ansie e le preoccupazioni del branco precedente.
Questo è un disco di ottima fattura, un sano e godibile prog pieno di melodia e di riferimenti stilistici che invitano all’ascolto senza cadere nella ripetività.
Massimo Cassibba