Judas Priest
Invincible Shield
Difensori della Fede. Cosa c’è di più metallico dei riff dei Judas Priest, e della voce metallicamente autorevole di Halford? Solo i Saxon forse. Non serve sempre la velocità dei ritmi per funzionare, bensì è bello che si irradi metal dalla pesantezza e dalla distorsione classica anche con tempi medi o cadenzati, senza effetti strani aggiuntivi ma giocando con schemi essenziali.
Nessuno più di Saxon e Judas incarnano l’essenza base del Metal, quello che fu chiamato Heavy, e in questo nuovo insieme di canzoni si sono costruiti pezzi che sanno di freschezza e frizzantezza. E’ un ricollocarsi in epoche lontane che però offre un gran gusto sotto una sonorità moderna. Alcune song hanno davvero un suono ben riconoscibile che danno quel senso di appartenenza alla tradizione senza però apparire vecchie. Certo l’uso frequente di accordi già sentiti non è positivo, ma fortunatamente sono mescolati ad altri più originali, e poi la linea melodica li nasconde e il tutto non appare scontato.I brani più potenti di questo lavoro sono migliori di quelli più potenti di Firepower, ‘PANIC ATTACK’ ; ‘THE SERPENT AND THE KING’ e la title-track ‘INVINCIBLE SHIELD’ sono momenti rutilanti dal perfetta riuscita, eccellenti sia nella linea melodica che negli assoli variegati che elicitano potenza ed epicità eccitanti. Tra di essi appare più efficace di tutti ‘THE SERPENT AND THE KING’ che però sembra più Metal Church che Judas per la sua oscurità simil-thrash, ma soprattutto per la modalità del cantato in particolare nelle strofe che sono tipiche dello stile del defunto cantante David Wayne:
“They play with stars and sulphur just for heaven’s sake
To them, we’re a fantasy to see who’s first to break
When good and evil go to war, we leave it up to fate
Since time began they fought for man, incurring love and hate”
In questa forma di Power veloce risulta meno riuscito l’episodio ‘As God is my Witness’ ma esso non diventa un filler. L’unico filler presente è ‘Vicious Circle’ che sembra buttato là senza impegno, ridotto all’osso, ma non perché brutto, solo che si è andato sprecato un buono spunto il quale aveva invece bisogno di uno sviluppo ulteriore. Tra le migliori canzoni troviamo una scura ed ossessiva ‘ESCAPE FROM REALITY’ che gioca tra una parte vocale calda ed una arcigna, per un bel doom ardente che in qualche modo ricorda anche Ozzy Osbourne nel cantato centrale. Cadenzata e teutonica è ‘SONS OF THUNDER’ che non ha remore nel ricalcare lo stile più asciutto della band, ma con l’estrema severità tipica di Halford che esprime così una delle sue più iconiche essenze. Tra gli ascoltatori più intransigenti di certo una song orecchiabile come ‘Crown of Horns’ farà storcere il naso, ma per chi conosce bene i Priest non sarà una sorpresa visto che spesso i Judas hanno pensato momenti come questo, fa parte del loro dna ne fa parte il resto. Essa è un tipo di espressività che come al solito emana una luce morbida fra le pesantezze, ma ancora una volta senza cedere alle muse pop; al contrario fonde senso rockeggiante ed enfasi poetica dalla leggera verve epica. Curiosa la presenza di una traccia come ‘Fight for your Life’ per il fatto che si discosta dalla sonorità generale dell’album, facendoci ascoltare un sound anni settanta, con una chitarra più morbida e fluida e uno spirito vintage. La ballata ‘THE LODGER’, evanescente ma ballata del tutto metal, chiude con enfasi accattivante ma non dolce, un ascolto ficcante che vibra di sentimento.
L’opera prende tanto dalla propria storia musicale, ma anche dai gruppi heavy successivi, riuscendo ad essere un insieme efficacemente attuale. La stessa cosa era successa sei anni fa con ‘Firepower’ che contiene un carattere similare. Se la voce di Halford risulta sempre della giusta cattiveria che batte spesso certo growl monotono ed innocuo, anche le melodie più morbide rimangono nell’alveo duro senza uscire dall’anima rock. Inoltre il nostro lavora costantemente bene sulle linee melodiche, immettendo accenti e note che fanno la differenza e allontanandosi da espressioni troppo scontate. Le chitarre poi sono sia taglienti che melodiche rimanendo nell’essenza magica della band e dando un grande contributo con i loro assoli densi. Solitamente però si punta più sulle linee vocali che sulla strutturazione del songwriting, cercando una relativa semplificazione, quindi abbandonando qualsiasi senso prog tipico di certo loro passato. La questione se siano migliori i Judas di oggi o quelli del passato non ha senso di esistere. Nel loro passato la band ha sperimentato diverse forme espressive rimanendo prettamente heavy metal, evolvendo e riuscendo a comporre situazioni innovative ed affascinanti anche dentro album non del tutto riusciti (vedi ‘Point of Entry’ e ‘Turbo’), ma nella loro maturità oggi scrivono album compatti senza flessioni di tono, cioè dischi che funzionano in toto, rilucendo di luminosità perfettamente centrata. Mancano di innovazione ma non mancano di feeling e personalità; solo belle canzoni dentro la stilistica che essi stessi hanno inventato.
Fanno come tutti i grandi gruppi quando pur smettendo di evolvere cuciono assieme bellezza ed energia, generando carica emotiva come gli Slayer, i Metallica, i Saxon, gli Uriah Heep, gli Overkill, i Metal Church e via dicendo. Ma oggi, tra i famosi eredi dell’heavy classico, né Primal Fear né Iron Savior riescono a scrivere un disco azzeccato come questo. Nella loro meritata autocelebrazione i Priest sono emblema e stendardo heavy inossidabili, ancora fra i migliori in tale genere, ed infatti anche l’ultimo dei Saxon ‘Hell, Fire and Damnation’ si colloca qualitativamente ad un livello più basso di questo ‘Invincible Shield’. Con buona pace anche di KK Dawning che l’anno scorso ha fatto un bel disco, migliore del suo precedente, ma che rispetto a questo diciannovesimo capitolo degli Dei metallici quali i Judas sono, ancora non ce la fa. Insomma un altro buon gioiello di classe che non soffre della vecchiaia del cantore Rob, energico e sfacciato. Non c’è alcuna possibilità di riuscire a mettere i Judas in naftalina; sono vivi e vegeti, letali e…invincibili.
Roberto Sky Latini