Articolo a cura di Roberto Sky Latini
Kiss – Una carriera cocciuta
Paul Stanley Vocals, Guitar
GeneSimmonsVocals,Bass
Eric Singer / Eric Car Drums, Back Vocals
Vinnie Vincent/ Ace Frehley / Bruce Kulick / Tommy Thayer guitar and vocals
Riconoscibilità e personalità
Negli anni settanta molti gruppi avevano musicalmente una peculiarità forte che li faceva essere personalissimi e quindi anche facilmente riconoscibili. Questo valeva tanto per i grandi quanto per le realtà minori. Quando si fa una disanima sui gruppi importanti, non ci si limita ai fondatori di un genere, in questo caso Led Zeppelin; Deep Purple e Black Sabbath, ma si riconosce tutta una serie di altre band che hanno fatto concretamente la storia virtuosa di tale genere, come ad esempio Uriah Heep; Blue Oyster Cult; Grand Funk Railroad; Aerosmith; Ufo; Ac/Dc, e tra essi i Kiss.
Nel caso dei Kiss la loro riconoscibilità non fu data dall’immagine, per quanto iconica, dovuta alle figure interpretate (Vampiro; Gatto; Starchild; Spaceman) ma dalle caratteristiche del sound appunto, non in retroguardia dal punto di vista artistico, e neanche in difetto rispetto a quello di costume culturale all’interno del panorama rock. La carriera del “Bacio” ha una sua specificità evolutiva che ha del caratteristico, molto legata alla ricerca del successo, ma anche coraggiosa, spesso abbandonando certezze per intraprendere strade diversamente abili. Il concetto di successo è qualcosa che la scena musicale ha sempre tenuto in considerazione; gli artisti, spinti in direzioni mainstream dalle case discografiche, hanno continuamente subito lo stress da prestazione compositiva, magari alla ricerca del singolo, ed è quindi un discorso che accomuna tutti i musicisti, per cui qui invece parleremo dell’evoluzione dal punto di vista dell’espressività artistica. I Kiss non sono stati secondi a nessuno per originalità e capacità creative, e non sono mai diventati qualcos’altro che non fosse essere se stessi. Caposaldi quindi del rock duro dentro una stilistica variegata. Quale è la differenza tra i gruppi fondanti di un genere e i successivi? Che i primi hanno una intuizione, i secondi la seguono. Se i primi sono stati, come abbiamo detto, i Led Zeppelin /Deep Purple /Black Sabbath, i Kiss hanno deciso di indurirsi seguendo la scia di quei tre (in particolare, secondo le interviste, dei Led Zeppelin). I due leader Stanley e Simmons avevano fondato nel 1970 i Wicked Lester ma non suonavano hard rock, pur essendoci già in giro i creatori del genere, però questa prima essenza dei Kiss non aveva idea di che percorso seguire e i vari brani avevano tante ispirazioni rock e funky, ma non erano hard. Solo nel 1973 decisero, e lo decisero in autonomia, di usare quei brani cambiandone gli arrangiamenti e trasformandoli in musica dura, prendendo spunto da chi in realtà sarebbero potuti essere loro contemporanei, come appunto i miti citati. E’ ciò che separa i grandi artisti dalle divinità dell’arte, intendendo per divinità i Creatori di un qualcosa di nuovo, appunto gli Dei che plasmano il primo alito. Così i “grandi artisti” Kiss non sono la “divinità” Led Zeppelin, stando un gradino sotto, come in effetti divinità non sono nemmeno Aerosmith ed Ac/Dc, anch’essi prosecutori di un genere già inventato: l’hard rock.
Prima fase: gli ‘ALIVE’
Quando i Kiss presero forma, la loro musica c’era già prima delle maschere. E nel 1974 l’esordio fu subito un passo fondamentale per il processo costruttivo del panorama hard, con un album legato sia al Glam/Street dalla verve saltellante tipica del rock’n’roll (‘Strutter’), sia ad atmosfere cupe (‘Black Diamond’) o ruvide (‘Deuce’), e addirittura più eleganti (‘100,000 Years’). Il loro lato rock più allegro faceva loro utilizzare riff alla Keith Richard, mentre nel lato più pesante non mancavano risonanze LedZeppeliniane e Blacksabbathiane, ma il tutto profilato in senso ancor più moderno, considerando il periodo. Possiamo dire che B.T.O. ed Aerosmith il senso rock’n’roll lo declinavano in modo meno moderno dei Kiss e che la pesantezza dei Kiss era anch’essa attualizzata più che in altri gruppi. Questo processo porta ad altri due album da studio nello stretto giro di un altro anno, e la dimensione rockettara è la stessa anche se sfoggiata con dischi tutti tecnicamente registrati in modo penalizzante essendo un pò debolucci nella produzione. Il basso tasso di vendite portò a registrare un primo disco dal vivo ‘Alive’ per afferrare quella potenza che invece i pezzi avevano. Arrivò finalmente successo e visibilità ed era solo il 1975; ma il disco si meritò tutte le lodi possibili visto che ancora oggi rimane uno dei dieci dischi dal vivo più belli e riusciti della storia del rock duro. Questa prima fase che parte dal debutto del 1974, arriva fino al 1977 e vede all’attivo sei full-lenght da studio e due dal vivo, anzi sei dischi e mezzo da studio visto che ‘Alive II’ del ‘77 possiede un lato di vinile da studio, con canzoni memorabili.
I due ‘Alive’ sono vinili doppi dal vivo e rendono merito in potenza alle composizioni create dai Kiss. Da studio dobbiamo dire che ‘Kiss’ (il primo) e ‘Destroyer’ (1976) sono i migliori, (quest’ultimo anche registrato meglio), ma il voto ottimo potrebbe prenderlo anche la facciata finale da studio di ‘Alive II’ che è anch’esso di alta qualità ma siccome possiede solo cinque tracce, che pure possono essere considerate tra le migliori del periodo, non può essere considerato un album . Cosa contiene questa fase musicale dei Kiss? Contiene una decisa caratterialità che quando è meno rocking and rolling diventa pesante ed elettrica (‘Cold Gin’; ‘Detroit Rock City’; ‘Making Love’; ‘I stole Your Love’; ‘All American Man’; ‘Rocket Ride’) oppure dark con riff doom anche belli roventi (‘Hotter than Hell’; ‘Parasite’ ‘Watching You’; ‘Strange Ways’; ‘She’; ‘God of Thunder’; ‘Larger than Life’). Naturalmente non mancano energetici inni rock appunto ‘funny’ come ‘Nothing to Lose’; ‘Let me go R’n‘R’; ‘R’n’R all Nite’; ‘King of the Night Time World’; ‘Do you love Me’; ‘Shout it out Loud’ e ‘Rockin’ in USA’, per dire la capacità polivalente della band che in questo modo resta legata all’antica purezza rock ma ammodernandola in senso Street, in modo però diverso da come facevano contemporaneamente Status Quo; Aerosmith e B.T.O., cioè mantenendo un’anima più dura rispetto ai gruppi appena citati.
Gli album di questa prima fase, durata 4 anni, sono tutti colpi ad effetto ben riusciti, colpi di ispirazione artistica che realizza una sonorità che nessun altro aveva, ritagliandosi così una propria fetta espressiva molto autoreferenziale, guadagnandosi una dignità conquistata in piena autonomia, senza scopiazzature derivative. E’ la fase prettamente hard, lontana dal pop e da certe digressioni commerciali che arriveranno in futuro. Naturalmente troviamo qualche filler (es. ‘Love them from Kiss’; ‘Comin’ Home’; ‘Plaster Custer’) e qualche cover discutibile (es.‘Kissin Time’; ‘Then She kiss Me’), ma di album mezzi riempitivi era pieno il periodo anche tra le grandi band. Il trucco applicato sul viso per lo spettacolo è un di più molto utile per auto pubblicizzarsi, un ottimo sistema di promozione, ma la sostanza musicale c’è ed è pregnante, e “non è solo Rock’n’Roll”, contiene diverse atmosfere. Già da sola questa fase, sostenuta quasi completamente dall’attività scritturale dei membri (eccetto in determinati e limitati casi), basterebbe ad affermare il fondamentale contributo artistico del gruppo alla causa del rock duro.
Seconda fase: i Solo’s
Fino alla tenuta della band i dischi avevano avuto la possibilità di risultare pienamente espressivi dal punto di vista compositivo, ma nel 1978 era chiaro che il batterista Peter Criss non era più affidabile a causa di alcool e comportamenti anti-professionali, il gruppo rischiava di sciogliersi non avendo più il collante giusto, ma la casa discografica propose 4 dischi solisti che fossero sotto l’egida del marchio “Kiss”. I musicisti apprezzarono la proposta anche se non sapevano cosa volesse dire dal punto di vista del mercato.
Qui si comprese artisticamente dove fossero le idee personali dei singoli Kiss. Il bassista Gene virò verso un rocketto leggero imbastardito col pop moderno, poco efficace, mentre il batterista Peter scelse un carattere funky-rock più antico, associabile anche al rythm and blues, ma senza che essi riuscissero a gestire canzoni che fossero di livello. Gli unici a riuscire con qualità nell’impresa furono i chitarristi Paul ed Ace, i quali rimasero in qualche modo ancorati al mood originario della band, e produssero due album ognuno dei quali sarebbero potuti essere considerati Kiss al 100%, non solo, i pezzi possedevano efficacia ed anima.
Tale fase fu quindi un cambiamento fallimentare artisticamente solo a metà, ma quattro vinili tutti insieme non poterono vendere abbastanza e così commercialmente non ci fu il risultato sperato. Questo tentativo però testimoniò positivamente l’apertura a tentare strade anomale, un primo segno che i Kiss non erano tipi da sedersi sugli allori.
Terza fase: il successo interplanetario
Nel 1979 arriva il singolo ‘I was made for lovin’ You’, che sbanca le classifiche soprattutto in Europa, ma il disco da cui è estratto, ‘Dynasty’, non è più del tutto hard rock. All’Hard si legano felicemente quattro tracce, tra cui anche ‘Magic Touch’ di Paul Stanley, che sembra quasi un controsenso visto che si tratta di una ballata, ma è scritta con lo stile dei primi anni settanta e quindi in una modalità che l’hard già possedeva. Le altre sono ‘Hard Times’ e ‘Save Your Love’ di Ace Frehley e ‘X Ray’s Eyes’ di Gene Simmons che rimangono felicemente ancorati alla produzione precedente, e il fatto che tutti e tre abbiano avuto la capacità di scrivere ancora secondo una verve dura, rende l’idea di come ancora esistesse un feeling ben ispirato dalla dimensione da loro stessi sviluppata. Purtroppo la produzione levigata ridusse l’impatto duro dei brani, eppure si percepisce chiaramente che i primi anni di carriera risuonassero ancora vivi e vegeti nelle loro corde.
E la cosa si ripropone nel 1980 con ‘Unmasked’, dodicesimo lavoro, dove abbiamo ottimi pezzi, ma così mal prodotti da non riuscire a farsi valere, se la produzione fosse stata anche solo quella di ‘Rock’n’Roll over’ il risultato sarebbe stato molto più soddisfacente. La sdolcinata ‘Shandi’ è sicuramente da cestinare, ma ‘What makes the World go round’; ‘Tomorrow’ e ‘She’s so European’ meritavano ben altro trattamento. Non è male nemmeno la svolta AoR di ‘You’re all that I want’, ma certo la troppa levigatura ha ucciso un degno lavoro compositivo. Esso fu l’inseguimento di ‘Dynasty’, e perciò da includere nella stessa fase storica, ma senza avere il pezzo trainante, e va forse considerato che senza ‘I was made for lovin’ You’, nemmeno Dynasty sarebbe decollato.
E’ d’uopo tornare al brano ‘I was…’ per analizzarlo meglio. La dicitura di Disco-rock non gli si addice, si tratta di pura disco-music, lo afferma il ritmo ma anche la melodia compreso il ritornello; l’unica cosa degna di nota metal è il brevissimo assolo, una saetta acuta di appena otto secondi, ma davvero bella. E’ più logico associare questa canzone ad un brano dei Boney M che ad uno dei Kiss. Questa fase fu il primo vero cambiamento del gruppo, perché i tentativi di Gene e Peter del 1978 non sono ascrivibili a tutta la band. Il provare con quattro ‘Solo’ fu un mutamento organizzativo e. non sostanziale della musica, mentre con ‘Dynasty’ ed ‘Unmasked’ si cambia direzione nettamente per una orecchiabilità che va oltre il diretto ritornello del rock’n’roll, mescolandosi con pop e disco-music, così perdendo il senso originario del gruppo; successo sì, economico, almeno per ‘Dynasty’, ma non a fuoco la dimensione artistica.
Del resto se si prende ad esempio ‘Charisma’ di Gene Simmons, che sembra uscire dal suo disco ‘Solo’, vista la somiglianza alla stilistica di ‘Radioactive’ di quel disco, capiamo che pure un pezzo in potenza funzionante, viene sprecato per songwriting non ben valorizzato e per arrangiamento non ficcante. Anche questo cambiamento però va a favore del coraggio dei Kiss che non appaiono chiusi in se stessi e si aprono per evolvere; la ricerca del successo commerciale ha aperto anche una ricerca estetica di espressione che parzialmente appare riuscita, escludendo del tutto però la leggerezza superficiale del singolo ‘I was…’. I Kiss ancora una volta si mettono alla prova, ancora una volta abbandonano le certezze. Del resto lo stesso ‘Unmasked’ è un passo ulteriore, non è infatti la mera copia di ‘Dynasty’
Quarta fase: Arte incompresa
Peter Criss è andato via: ormai senza dubbio persona inaffidabile. Ma la band non fa uscire un album normale, ancora una volta se ne esce con una trovata poco consona. Non si comprende realmente cosa possa aver spinto la band ad un tale posizionamento, il colpo di testa non sembra avere un senso, né considerando la storia sviluppata da loro fino a quel momento, nè considerando l’ambiente musicale del 1981, stretto fra un rinnovato Heavy Metal; strascichi di Disco ancora attivo; New Wave mutuato dal punk ed il solito immarcescibile Pop. Così viene pubblicato ‘Music from the Elder’, che non vede i quattro in copertina e che ha un feeling del tutto differente da ciò che era stato fatto finora, decidendo persino per un concept. Paul Stanley affermò successivamente che le canzoni non fossero all’altezza nemmeno di ‘Unmasked’.
In realtà l’artista ha torto, vi sono ottime song, ma non sono quelle dure, quelle che dovrebbero ricordare i veri Kiss: ‘The Oath’; ‘Dark Light’ e ‘I’, infatti, pur trattandosi di hard rock, non hanno la sensibilità giusta e inoltre la produzione è troppo plasticosa e fredda, oggi verrebbero gestite con molta maggiore energia. A svettare sono invece gli episodi più introspettivi e calmi, cioè ‘Just a Boy’; ‘Only You’; l’epica ‘Under the Rose’ e soprattutto la soave ‘A World without Heroes’, ma non sono quelle tipiche della band e spiazzano gli ascoltatori, eppure si tratta davvero di pezzi costruiti con intelligenza e denso appeal, oltretutto prodotte bene. Eseguite da altri artisti sarebbero state apprezzate molto positivamente. Esse danno testimonianza della vocazione artistica mai del tutto silenziata di questi autori che però ancora una volta non sembrano avere il contesto giusto per esprimersi. ‘
The Elder’ è un disco sperimentale che ha gusto e raffinatezza ideativa; senza essere del tutto valido, ha però vari momenti davvero elevati che purtroppo vivono dentro un contenitore kissiano che non permette agli estimatori di accorgersi del reale valore di ciò che vi si trova. Ma pur essendo un fallimento commerciale, è segno della grandezza della band che sa muoversi trasversalmente dal punto di vista compositivo, magari non aiutato a dovere da produttori ogni volta incapaci di gestire il materiale a loro affidato. Un album incompreso che viene sempre, anno dopo anno, sottovalutato.
Quinta fase: finalmente l’Heavy
Mentre imperversava in Europa la N.W.O.B.H.M., modernizzando i suoni e la struttura del rock duro, altre band cercavano invece l’orecchiabilità commerciale, e come i Kiss lo fecero negli stessi anni anche gli Uriah Heep; Kansas e Blue Oyster Cult, ma nel 1982 il “Bacio” diede una brusca sterzata e tornò alla durezza. Fu l’ennesimo cambiamento e stavolta avvenne abbracciando l’Heavy Metal in una fase che ancora era in mano al vecchio continente, ma i Van Halen, i Riot, i Triumph, gruppi americani coi cojoni, avevano dimostrato che la via era aperta con successo. E così, con la capacità di innovarsi ancora, ecco ‘Creatures of the Night’, quattordicesimo capitolo, che non fu un super album (troppi filler), ma diede la giusta spinta alla band in un momento storico favorevole al ritorno verso sonorità rockeggianti. In realtà fu come tornare a casa, perché in qualche modo tornava la stessa verve delle origini, solo stavolta con suoni attualizzati alla nuova epoca.
Più distorsione e più chitarre taglienti. Questa fase fu la più lunga che il combo affrontò, durando undici anni fino a ‘Revenge’ del 1982. In realtà dopo il metallico ‘Creatures…’, il percorso restò Heavy per metà perché progressivamente s’infiltrarono accenti pop-metal che limarono in parte la veemenza heavy, diminuendo il numero dei brani violenti, bilanciandosi dentro uno street-metal che ondeggiava tra pop/AoR e solo in alcuni casi in heavy. Un po’ Europe, un po’ Bon Jovi, i quali esordirono rispettivamente nel 1983 (i Kiss uscirono con ‘Lick it Up’) e 1984 (i Kiss uscirono con ‘Animalize’), la ricerca del singolo divenne un mantra. ‘Creatures…’ fu l’album più Heavy, ma un certo tasso in tal senso rimase fino al 1992. Dentro questo periodo espressivo troviamo potenti muri come ‘King of the Mountain’ del 1985, un bel pezzo roccioso, degno di cose alla Savatage, e una canzone dalla durissima stilettata, un assalto totalmente Heavy, il più heavy mai scritto dalla band, che è ‘Under the Gun’ del 1984, ritmo sostenuto ed elettricità ad alto voltaggio, e una delle tracce più belle dei Kiss in assoluto. Poi una serie di ottime street songs, saltellanti rock’n’roll del più puro stile kissiano, come ‘No No No’ del 1987 e ‘Rise to it’ del 1989.
Ma accanto a queste si trovano le pop song più mainstream come ‘Lick it up’ del 1983 ed ‘Tears are falling’ del 1985; di certo realizzate con classe, ma che portano l’ascolto verso una certa superficialità. Va detto che però i Kiss rimasero anche in questo caso fortemente se stessi, la loro stilistica è riconoscibilissima, e a nessuno davvero possono essere associati se non a loro stessi. Fu una fase che aveva abbandonato anche Ace Frehley al suo destino di persona problematica, cacciato dal gruppo, e i nuovi musicisti pur dando un contributo di modernizzazione non distorsero il carattere espressivo di Gene Simmons e Paul Stanley, soprattutto di quest’ultimo che sempre di più divenne il leader della band. Nel frattempo l’abbandono del look mascherato non diede scossoni negativi e i Kiss in breve tempo tornarono in classifica senza problemi.
Sesta fase: fuori controllo.
L’avanzata del Grunge mise i confini al mercato, che si chiuse economicamante verso molte delle metal-realtà passate; sentirono una parziale crisi anche i Kiss. Vollero ancora una volta rinnovarsi e la decisione venne da Gene Simmons, ma che senso ha mutare pelle quando ormai il Grunge è vecchio di sette anni? Una enormità di tempo per le mode, ma forse Simmons non si rese conto che l’aria stava per girare nuovamente in favore delle antiche sonorità. ‘
Carnival of Souls: the Final Sessions’, pubblicato nel 1997, è forse l’album più inconcludente dei Kiss, è come se Paul e Gene non sapessero cosa stessero facendo.
I brani sono deboli, certo ci sono diverse intuizioni interessanti e spunti validi, ma nulla è sviluppato bene, manca la scintilla e non c’è anima. Si salvano solo due tracce: ‘I will be there’ forse perchè essendo ballata acustica può allacciarsi ad un mood più sentito, che nel Grunge ha sempre avuto una malinconia che le canzoni soft possono sprigionare bene pur se concepite all’interno di generi diversi; e poi ‘Jungle’ perché è l’unica con una melodia suadente e avvolgente, in grado di ipnotizzare, e con un ritornello più vicino alle cose del rock d’annata. Troppo poco per salvare un disco carente d’ispirazione artistica. E’ strano come musicisti navigati e pieni d’esperienza non si accorgano della povertà composta, come se non riuscissero ad ascoltare ciò che sentono. Tanto di cappello al coraggio di tentare ancora un cambiamento, ma non è il loro campo ed è un lavoro anche arrivato fuori tempo massimo.
Settima fase: l’ultimo afflato artistico.
Superata la crisi dei 23 anni, la band rinsavisce, e sforna due dei dischi migliori della loro carriera post-settanta, considerando pure quelli degli anni ottanta: si tratta di ‘Psycho Circus’ e di ‘Sonic Boom’. Il gruppo non si interessa più di come vanno le mode, ormai pensa solo a creare belle canzoni e tutta la responsabilità se la prende Stanley, visto che Gene ormai ha deciso di non impegnarsi troppo. Ma l’effetto della reunion con i vecchi membri Ace e Peter ha forse portato alla ricerca accurata di pezzi all’altezza dell’importanza dell’evento, e così l’album ‘Psycho Circus’ del 1998 rivede tutta la formazione originaria e ne scaturisce un bellissimo lavoro hard end heavy, ondeggiante fra antico e moderno. C’è freschezza e tono, cancellando del tutto l’apatia del lavoro precedente.
Nonostante la bellezza dell’evento, la cosa non poteva durare, con due personaggi tanto capricciosi e molesti come i due vecchi amici/nemici che anche durante le registrazioni dovevano essere gestiti come se fossero bambini inesperti, e così il fatto rimane un unicum nella carriera dei Kiss e poi passeranno undici anni per un nuovo full-lengh. Stavolta le antiche origini non provengono dal ritorno di Ace e Peter, ma dalla scelta di suonare come i primi anni settanta, come quei dischi che percorsero il 1974 fino al 1977, le sonorità degli ‘Alive’. E così appare alle orecchie un altro bellissimo disco, cioè ‘Sonic Boom’ che usa la chitarra come l’aveva concepita Ace, coi riff scuri, con assoli che utilizzano le care vecchie ripetizioni, e anche il cantato si rifà a quei modi di esprimersi, per quanto soprattutto Paul non possa contenere ciò che ha imparato in meglio negli anni; ma soprattutto ci sono ottime canzoni, dinamiche, ricche e frizzanti, anche più frizzanti di quelle di ‘Psycho Circus’.
Infine, tre anni dopo, nel 2012, arriva il canto del cigno, almeno quello da studio, perché i concerti commemorativi sono continuati fino al 2023. Esce l’ultimo respiro ‘Monster’, un altro bell’episodio che chiude in bellezza, anche se in flessione. I tre album hanno dalla loro il fatto che si suona hard, heavy e rock, diminuendo di molto il tasso Pop che nella quinta fase, conclusasi nel 1992, aveva annacquato un po’ troppo le idee compositive dei Kiss. Di fatto la carriera discografica della band termina in bellezza una grande avventura.
Cinquantennale
I Kiss non saranno stati sempre il meglio come recita la famosa frase di rito, ma sul fatto di essere stati la più calda, almeno nei live, questo è probabile (“You wanted the best; You’ve got the best! The hottest band in the world, Kiss!”). Va dato merito alla band di aver tentato modi differenti di suonare; ciò che fanno gli artisti più importanti, quelli che vogliono cercare di trovare del nuovo. La considerazione riguardante la loro influenza sulla musica heavy va però tutta riferita agli esordi, a quella prima fase di sei album e mezzo da studio, quella che è stata davvero innovativa ed originale, perché tutti i dischi successivi, per quanto molto stilisticamente peculiari alla forma “Kiss”, erano modalità esperienziali già esibite da altri, sia la parte disco di ‘I was…’, sia quella pop-metal degli anni ottanta.
Certamente l’espressività dei Kiss ha uno lo stile personalissimo che non è mai venuto meno, e molto è dato dalle voci, ma il chitarrismo dei primi anni è anch’esso un marchio di fabbrica uguale a nessun altro. I Kiss non furono solo un fenomeno di costume ma sono stati un tassello fondante dell’evoluzione del rock duro, tanto quanto i loro contemporanei. Non tutti gli album sono risultati allo stesso livello qualitativo, hanno scritto anche molte, troppe, canzoni scarse, ma sempre mantenendo alcune gemme in mezzo a brani non proprio esaltanti. Nella fase senza maschera, quella più vicina al pop-metal (ma solo per alcuni brani) si era diluita la verve sonora più nera, e la crudezza interpretativa di Gene non sempre eliminava il senso catchy di alcune sue escrescenze.
Musicalmente hanno corso il rischio di perdersi, ma anche nei momenti meno ispirati hanno fatto emergere almeno una parte della loro essenza artistica. Fortunatamente sul finale di carriera la serietà compositiva ha ripreso gli antichi colori rock pur essendo ormai moderni nella forma sonora. Quest’anno possiamo celebrarne il cinquantennale dall’esordio, e se l’addio tenutosi coi concerti può dare un po’ di tristezza, è probabile che abbiano ragione loro: i Kiss forse sopravvivranno come band grazie al make-up, grazie all’invenzione di personaggi in grado di trascendere i membri reali. Gene e Paul continuano a ripetere questo concetto e se hanno ragione lo vedremo in futuro (se fosse così però dovrebbe uscire un album da studio senza di loro pur con lo stesso moniker). Discograficamente, sono stati 38 anni di vita, e sono dodici anni che ormai non scrivono più album da studio. Ma ormai alla musica hanno già dato tanto e hanno fatto la differenza.
A cura di Roberto Sky Latini (che in realtà nacque metallaro come Kissomane e che si fa chiamare Sky RobertAce sin da adolescente in onore di Ace Frehley)