Saxon
Hell, Fire and Damnation
Al nuovo album dei Sassoni si addice al 100% il termine “metallo”: esso è puro, classico ed incontaminato. La compattezza del disco è formata da riff rocciosi, assoli taglienti e dalla solita voce di Biff dal timbro metallico. Le canzoni hanno sempre il giusto appeal e non c’è mai una caduta di tono.
Non che si possa parlare di originalità, ma la band ripete se stessa con efficacia e senza segni di debolezza. I due pezzi migliori sono quelli meno veloci, che però con la loro andatura cadenzata martellano in maniera fortemente rock facendo dondolare la testa, entrambe con una linea melodica ben congegnata. La prima presenta un suggestivo intro in crescendo fino al “taglio della testa” con un suono di lama che cade; è ‘MADAME GUILLOTINE’ che delle due possiede una melodia più variabile e suadente, e dove l’assolo si presenta dapprima con una pausa soft per poi proseguire con risolutezza. La seconda è meno melodica, l’ossessiva ‘THERE’S SOMETHING IN ROSWELL’ ha infatti un cantato monolitico e la sua struttura è più quadrata e irriducibile, con un minimo senso di ineluttabilità epica; interessante poi una parte del rifframa, piuttosto peculiare.
Prende subito alla gola la rotonda ‘SUPER CHARGER’ che vive di tradizione saxoniana, e che respira NWOBHM a pieni polmoni, soprattutto nell’assolo che riesce in alcuni passaggi a rievocare le sensazioni di quegli anni d’oro; ma è riuscita tutta la traccia fino al ritornello ritmico e tonico. L’assalto cruento di ‘Fire and Steel’ è un power-metal rabbioso che abbina velocità e pesantezza rutilante, l’assolo spezza la corsa, ma poi riprende infilandosi animoso nel tessuto imbizzarrito con animosa grinta; è uno pezzo canonico già sentito come tipicità nel panorama metal degli anni ottanta, ma riesce lo stesso a colpire ed affondare l’ascoltatore. Interessante anche ‘Witches of Salem’ che in parte usa l’andamento rockettaro bluesato già molto usato dai saxon in passato, ma innestandolo poi su dei riff più duri e oscuri. Gli altri brani, per quanto minori, non sono filler e rispettano la qualità dignitosa di un combo che ha fatto la storia. Forse ‘Pirates of the Airwaves’ è un po’ troppo canonica, però funziona benissimo e piace ascoltarla.
Come altre volte nelle atmosfere del gruppo, il filo epico emerge più volte, con una bella interpretazione sia vocale che sonora. Gli assoli sono melodici ma anche saettanti lame affilate. Il drumming è fluido eppure implacabile nella sua corposità. Il cantante non perde mai la sua caratterialità densa ed incisiva; vecchio in età sì coi suoi 73 anni (proprio in gennaio è il suo compleanno), ma in grado di donare il feeling emozionale che lo contraddistingue. Si percepisce talvolta in modo chiaro la NWOBHM, soprattutto nella title-track ‘Hell, Fire and Damnation’ e in ‘Super Charger’, ma nel tempo i Saxon hanno preso anche dal metal teutonico, rendendo più serrato lo sviluppo del songrwriting. Se oggi i germanici Accept e Primal Fear hanno più cose in comune coi Saxon di prima è soprattutto perché questi ultimi sono andati verso di loro.
Ad ogni modo ascoltando ‘Hell, Fire and Damnation’, in una serie di accordi della riffica si possono percepire i Diamond Head, e potrebbe anche dipendere dal fatto che alla chitarra c’è il mitico Tatler, il quale ha prodotto sempre bellissimi lavori, alcuni allo stesso livello di quelli dei Saxon. Infatti non vi suona il chitarrista co-fondatore Paul Quinn ma il disco è lo stesso uno dei migliori della band inglese. Tatler però è uno dei più grandi chitarristi della NWOBHM e possiede un ineccepibile senso del riff e dell’assolo, perfetto anche per la musica dei Saxon. Considerando gli ultimi tempi metallari, a differenza della “Vergine di ferro”, l’aquila britannica dei Saxon si conserva meglio e sa cosa serve alle canzoni che scrive per essere energetici e funzionali. Ventiquattresima opera, e quest’anno 2024, con i Judas (fra poco in uscita), l’heavy metal classico, quello verace, continua a vivere di vita propria.
Roberto Sky Latini