KISS
The Elder
Questo disco fa quarant’anni. Il 10 novembre del 1981, in piena pandemia metallica (N.W:O.B.H.M.) la band non se ne accorge e pubblica un disco strano per l’epoca, e strano anche per la concettualità della stessa band fino a quel momento su altre coordinate.
E’ il loro nono capitolo e non ha nulla in comune né con l’ottavo ‘Unmasked’, né col decimo ‘Creatures of the Night’ (in mezzo ci sono quattro pezzi inediti, ma nemmeno con esso ci sono legami). Ci sarebbe da fare una lunga disquisizione sui mutamenti musicali che durante la carriera la band ha operato; se si tratti di tentativi commerciali o invece di ricerca di espressione artistica, a me, come postero (ormai sono passati tanti anni), l’ardua sentenza (ma non oggi). Va detto che questo concept album fu una prova coraggiosa. Non c’è nulla che faccia pensare ad esso come ad una azione opportunistica poichè con esso non sembra che si strizzi l’occhio a qualcosa di mainstream. Né il tema, dove si racconta dell’addestramento che l’Ordine della Rosa effettua verso un giovane uomo per opporsi a Demoni, né il lato compositivo, paiono avere una attrattiva modaiola e di mercato particolari, cosa che invece era avvenuto per Dynasty con ‘I was made for lovin’ You’. Si pensò anche di farne un film, ma dopo la risposta del pubblico, la cosa cadde.
Dopo un intro semplice, ‘Fanfare’, ma insolito, la prima song del lotto, ‘JUST A BOY’, è soft eppure epica allo stesso tempo, degna di certo metal di là da venire; una song dal pathos netto con voce calda di Paul Stanley, che riesce nell’insieme a creare una canzone davvero interessante e bella. Segue ‘Odyssey’ che è parzialmente tranquilla, ma che quando si alza di tenore non possiede nulla che la avvicini al rock elettrico, adagiandosi in una espressività lirica alla David Bowie dei primi tempi, con arrangiamento sinfonico ma semplice, quanto comunque elegante. La quarta traccia ‘ONLY YOU’ finalmente mostra la chitarra elettrica; è uno dei momenti più belli dell’album, un’altra song intensa che ha un importante carattere narrativo grazie anche all’interpretazione vocale di Gene Simmons che riesce a farsi efficace insieme a passaggi più o meno delicati, mai troppo duri ma interessanti, in un tensione emozionale sorretta da un coro morbido eppure corposo. Le ballate sono più d’una, arriva la seconda con ‘UNDER THE ROSE’ che mantiene il senso epico che sta di fondo all’album, qui amplificandolo con un coro ancor più maestoso di quello di ‘Only You’, ed è un altro pezzo valoriale, merito anche di un assolo raffinato che segue una melodia cantabile.
I pezzi meno riusciti sono proprio quelli che rimandano al vecchio e tradizionale stile hard della band, non sono brutti pezzi ma non hanno il feeling caldo degli altri. Le parti più dure quindi non sono entusiasmanti, a cominciare da the “Dark Light”, dove Ace Frehley canta e suona al suo solito modo, elettrico, ma in questo caso un po’ freddamente. L’apice compositivo va visto nella terza ballata ‘A WORLD WITHOUT HEROES’ dove Gene Simmons batte se stesso nella propria interpretazione vocale soffice, perfettamente calzante, soave e malinconica, e in cui l’assolo avvolge con suadenza una canzone breve ma attrattiva. Tornando allo stile hard dei Kiss, la cavalcata ‘The Oath’ non è male ma rientra nel concetto della non completa riuscita dei brani più teoricamente energetici, probabilmente avendo usato una forma troppo laccata. ‘Mr Blackwell ha toni hard decadenti, molto asciutta ma con una minima verve dark, forse il brano meno di spessore insieme alla strumentale ‘Escape from the Island’, troppo semplicistica, che necessitava almeno dell’aggiunta di un assolo degno di questo nome. Il finale se lo assume ‘I’ che è il terzo pezzo hard del lotto, anch’esso un po’ dimesso ma è quello più vicino allo stile hard rock’n’roll che li ha resi famosi. Alla fine anche i brani minori hanno il loro fascino ma sono lontani dall’essere capolavoro sebbene posseggano un buon tasso di originalità, formale più che concettuale.
Nonostante passi in sordina (successo bassissimo, anche se in Italia andò benino), l’album rimane uno dei migliori dei Kiss esprimendo qualità. L’insieme non è troppo hard, né ancora metal, ma non poteva esistere fuori da un senso duro di base. Il batterista Peter Criss non ‘cè più, sostituito dal poi amato dai fan, Eric Carr ( che morì dieci anni dopo per cancro; NOTA: lo stesso anno di Freddy Mercury). L’arrangiamento usato funziona molto bene per i brani calmi, mentre non è in grado di sostenere adeguatamente i momenti più tonici. Spesso i dischi dei Kiss non sono stati singolarmente ottimi per tutte le tracce, e in questo ‘The Elder’ continua la medesima flessione estetica ponendo come al solito qualche filler che abbassa il livello generale. In realtà l’anima dell’album possiede carisma e il fatto che non abbia l’appeal commerciale alla moda è un merito, non un elemento negativo. Ben peggiore sarà ‘Creatures of The Night’ del 1982, che anche se ha la positività di far entrare la band nella scia della nuova ondata metal, ha però ben sette pezzi (su nove) che non hanno una dignità sufficiente ad essere considerati buoni. Lontano dalle mode, anche quelle metallare, l’opera è stata rivalutata da certo pubblico e annoverata anche dalla critica fra gli episodi meno banali della carriera dei Kiss, anche se ancora oggi le sue canzoni non hanno lo stessa visibilità di altre. Di certo va elogiato un gruppo che ha saputo mettersi in discussione, e celebriamo dopo quarant’anni questa loro originale prova d’autore.
Roberto Sky Latini